Manifesto

Documento Politico Novara Pride 2023

In un mondo in cui il fermento delle ideologie filo-nazifasciste si accompagna allo scoppiare di guerre sempre più a carattere europeo, ci ritroviamo ancora una volta a dover far i conti con quanto evidente sia la matrice eterocispatriarcale, abilista e razzista di questa violenza sistemica sui corpi delle soggettività marginalizzate tutte (donne, persone con disabilità, persone LGBTQIA+, persone razzializzate ecc…), le prime colpite ed utilizzate come capro espiatorio durante le situazioni di crisi.

Per questo e per molto altro manifestiamo, occupando le piazze e le strade che ora più che mai devono essere rivendicate e trasformate in luoghi sicuri.

Lo facciamo con rabbia e con orgoglio, anche per chi non può o non può più farlo.

Rifuggiamo la paura e l’invisibilità in cui vorrebbero confinarci, creando reti di supporto e (s)famiglie per scelta.

Come comitato novarese, oltre a ritenere opportune buona parte delle richieste compiute dal movimento LGBTQIA+ italiano, abbiamo deciso di proporre alcune riflessioni che riteniamo necessarie per un cambiamento reale e concreto nel mondo odierno che ci circonda. Trattandosi di spunti, non ci poniamo in maniera assolutistica e conclusiva, ma invitiamo chi andrà leggendo a sviluppare un proprio pensiero a riguardo e, perché no, anche una propria continuazione.

Donne sotto assedio

Nello scorso anno, arrivat* al 31 dicembre 2022, i femminicidi (alcuni di essi lesbicidi e transicidi) sono stati 117 riconosciuti come tali [vedi report dell’Osservatorio nazionale di NUDM: https://osservatorionazionale.nonunadimeno.net/anno/2022/ ].

Questi numeri, a cui si affiancano anche dati come l’età, la violenza subita, quella vista poi dall* figl* e la razzializzazione, non sono altro che lo specchio di come la misoginia agisce a livello di società; le donne si muovono in un mondo ostile che preme per farle cadere e che inibisce ogni tentativo di emergere come soggette, propinando - nel migliore dei casi - solo una narrazione vittimistica e svilente.

Come Novara Pride, e libere soggettività ad esso legate, rivendichiamo il diritto a raccontarci con le nostre voci e non passando da mille filtri che non ci danno giustizia.

Rivendichiamo il diritto ad un aborto libero, gratuito e sicuro per chiunque abbia un utero, praticato da professionist* format* e che non ci impongano altra violenza di fronte alla nostra autodeterminazione; vogliamo anche poter costruire le nostre famiglie nel modo che più sentiamo nostro, senza dover  giustificarci di volere o meno figl*.

Auspichiamo un supporto reale e politiche che vertano verso la parità salariale. Rigettiamo l’idea di una donna solo madre - salvo che non sia lei a volerlo - e promuoviamo la sorellanza a tutto tondo, guidate dalla nostra rabbia proattiva, contro ogni violenza di matrice patriarcale, anche quella istituzionale e medica.

Soggettività lesbiche, bisessuali, asessuali, non binarie e trans*

Per le soggettività Lesbiche, ancora troppo marginalizzate sia dai movimenti fatti dalle Donne, sia da quello Queer, l’augurio che ci facciamo è quello di riuscire a dare spazio alle loro singole specificità, andando a riconoscere l’apporto politico delle persone saffiche alla lotta comune.

Non possiamo scordare quanto necessarie siano come punto di giunzione col movimento femminista, un tempo del tutto avulso alle tematiche legate al mondo LGBTQIA+ e non possiamo scordare il fatto che subiscano doppie discriminazioni (se non triple nel caso rientrino sotto l’ombrello T+) causate dalla misoginia e dalla lesbifobia.

Lottiamo, quindi, con loro e tra loro per una visibilità che non sia solo scritta sulla carta, ma che si mostri ogni giorno con atti di empowerment del “genio lesbico” (ndr. citazione di “Le Genié Lesbienne” di Alice Coffin) e reale partecipazione alla vita pubblica e politica del movimento e della società tutta.

Per le soggettività Bisessuali, da sempre tra le più invisibilizzate, e feticizzate tanto quanto quelle lesbiche, il nostro apporto vuole essere legato alla loro sicurezza, affinché non si sentano più escluse degli ambienti queer, dei quali fanno pienamente parte al di là dell’assetto attuale delle loro personali relazioni, e nemmeno aggredite da chi sta loro intorno ogni giorno, comprese le istituzioni ed il personale sanitario che tende a pensarle solo come promiscue e non garantisce loro un ambiente utile alla cura di sé, causando solo ulteriore e maggiore minority stress. 

Per le soggettività Asessuali, tutte quelle che rientrano nell’ombrello qui indicato, lottiamo per poter garantire una maggiore conoscenza della terminologia, per una lotta all’amatonormatività, per una depatologizzazione che non sia solo teorica, piuttosto fattuale.

Ci spendiamo affinché la giusta terminologia sia utilizzata e non si trovino più definizioni errate e discriminatorie.

Crediamo a tutt* l* compagn* che hanno subito stupri correttivi, a quell* che denunciano le terapie riparative a cui vengono sottoposte. Vogliamo che nessuno dei racconti che giornalmente ascoltiamo si possa ripetere.

Per la soggettività Trans* e Non Binarie il percorso può sembrare costellato di ancora più ostacoli: la mancanza di rappresentazione, il continuo sciorinare di stereotipi, lo spauracchio usato da fondamentalismi filo-fascisti, ha causato il tardare del raggiungimento di tanti piccoli obiettivi che si sarebbero potuti ottenere.

Da una completa depatologizzazione, ad un superamento della legge 164 (o quanto meno un suo deciso miglioramento), alla carriera alias portata anche in maniera capillare nel mondo del lavoro, fino allo sport; insomma, tante le piccole cose che andrebbero fatte per garantire una vita che non sia mera sopravvivenza.

Il tutto si aggrava con i numeri del TDOR (381 vittime nel 2022) che non accennano a diminuire. Ma la violenza, come ben sappiamo, non è fatta di soli atti fisici: la mancanza di lavoro, le condizioni sempre precarie, sono una piaga che non accenna a fermarsi e che miete altrettante vittime, in particolar modo per la popolazione non-cisgenere.

Pretendiamo, quindi, che in primis ci si renda conto della capillarità del problema e che successivamente si attuino politiche che siano in grado di andare a rimediare nel tempo ai problemi sistemici che pongono seri ostacoli ai percorsi di affermazione di genere, seguite dal supporto che può essere dato dall’educazione e dalla vicinanza di gruppi organizzati che non si limitino ad associazioni, così come da maggiori sostegni economici.

Ricordiamo, sul finire di questo paragrafo, che le persone Non Binarie sono valide e validi sono i loro percorsi in qualsiasi modo intendano intraprenderli, compresa l’opzione di non intraprendere alcun percorso.

Non esistono persone “più Trans*” di altre ed anche solo pensarlo è svilente e ridicolizzante nei confronti dell’identità intima e personale di una persona.

Aggiungiamo, inoltre, che nessuna persona Enby debba avere un aspetto in particolare e che bisognerebbe imparare, in primis, a rispettare l’altrui identità.

Unioni civili, Matrimonio, Coppie, Troppie (...): le nostre (s)famiglie sono tante.

Nell’avvicinarsi agli argomenti del titolo, ripartiamo da quello che i primi movimenti di liberazione omosessuale scrivevano, ricordando quanto rifuggessero l’eteronormatività e l’amatonormatività forzata anche nelle relazioni.

Il desiderio di rientrare in una maggioranza per vincere “l’accettazione” sociale è un qualcosa che non riteniamo sufficiente, né auspicabile; questo né per noi, né per le famiglie che andiamo creando.

Che si sia monogam*, oppure no, le nostre relazioni devono essere protette e supportate nella loro differenza e non appiattite in somiglianze frutto di retaggi patriarcali dove, spesso, uno dei coniugi altro non era che un oggetto acquistato. 

Non siamo il premio, la dote ed il suppellettile di nessun*: siamo soggett* singol* con propria personalità e che vogliono costruire rapporti paritari ed il più possibile lontani da tutto ciò che il patriarcato vorrebbe propinarci come desiderabile.

Che ci si voglia sposare, unire civilmente, oppure no, non è un qualcosa che dovrebbe interessare a livello di senso le persone intorno a noi, quanto quelle direttamente coinvolte. Desideriamo, quindi, che il matrimonio egualitario risulti una scelta possibile per chi la desiderasse, non essendo noi cittadin* in alcun modo inferiori a chiunque altro.

Per quell* di noi con figl*, non possiamo che ribadire un concetto in realtà simile: anche la nostra prole va tutelata. Va fatto dal punto di vista legale, con un riconoscimento di chi compone la famiglia, così come da un punto di vista poi dell’educazione, dove meritano di avere la giusta rappresentazione e le giuste possibilità offerte a tutt*.

Scriviamo queste parole alla luce degli ultimi fatti successi a Milano, dove il prefetto, sotto spinte del Ministero dell’Interno, ha interrotto le trascrizioni degli atti di nascita esteri dei figli nati da coppie omogenitoriali in Italia. Questa manovra retrograda cerca di negare una realtà che è già presente nel nostro paese, chiudendo gli occhi ai reali bisogni de* cittadin*, che si troveranno ora in difficoltà ed abbandonati nuovamente davanti ad un apparato burocratico disinteressato e difettoso. Una nuova umiliazione nella lunga lista di affronti che subiamo quotidianamente da una classe politica che preferisce ignorare la nostra esistenza, lasciandoci a marcire in un vuoto normativo cui soltanto l’intraprendenza de* singol* poteva, fino a poco tempo fa, mettere una benda. Ora, di nuovo, la struttura politica ci abbandona, e noi, di nuovo, non staremo ferm* e in silenzio.

Disabilità & Accessibilità degli spazi

Spesso, anche con le migliori intenzioni, gli ambienti femministi e queer si riempiono la bocca di slogan votati soltanto ad un certo tipo di manifestazioni e di modo di vivere gli spazi, non pensando a quanto sia complicato attraversarli fisicamente quando gli stessi sono stati progettati in maniera tale da renderlo impossibile per chi viene dis-abilizzat*.

Tutto ciò poiché, oltre alle barriere architettoniche spesso caratterizzate anche banalmente dallo status delle strade cittadine, vi è un modo di intendere la piazza e la militanza che non tiene conto delle soggettività con funzionamento non canonico alla neuronormatività.

Per questo chiediamo che venga garantita l’accessibilità degli spazi privati e pubblici (come scuole, ospedali, comuni…), poiché vogliamo che si smetta di lasciare indietro l* compagn* disabili, proponendoci di sviluppare città che siano vivibili per tutt*.

Aggiungiamo che combattiamo lo stigma secondo cui le persone con disabilità siano persone asessuate e perennemente bambine, credendo fermamente nel loro diritto di autodeterminarsi anche dal punto di vista della propria identità sessuale.

Sottolineiamo quanto, per consentire l’autonomia individuale ed un maggiore empowerment, sono necessari non solo cambiamenti radicali dal punto di vista dei luoghi fisici e non che viviamo, ma anche supporti economici che non siano prese in giro: il tutto potrebbe essere fatto con una riforma della legge 104 quasi totalizzante, così come con politiche che non sviliscano la persona disabile e l’eventuale caregiver.

Concludiamo dicendo che è necessario continuare a lottare anche per il riconoscimento delle disabilità invisibili e per aumentare la consapevolezza del mondo su queste tematiche e le azioni che si possono intraprendere.

Il gap di genere - evidente anche in questo caso - deve essere colmato attraverso la ricerca, considerando gli evidenti buchi dal punto di vista della conoscenza dei corpi biologicamente femmina. 

Guerra sui corpi (grassi, intersessuali o quanto altro)

Quando si parla di corpi, il patriarcato ci va giù pesante: a partire da quelli razzializzati a quelli disabili, a quelli trans*, fino ad arrivare a quelli delle persone grasse, una norma solitamente bianca, cisgenere e magra si abbatte su tutt* noi.

Il problema, oltre alla necessità di decostruire tutto quello che ci viene lanciato addosso, è anche saper sopravvivere alla discriminazione sistemica a cui si viene sottopost* semplicemente esistendo.

Le persone intersessuali continuano a fare formazione alle istituzioni ed all* professionist* medich*, sebbene non dovrebbe essere compito della singola soggettività occuparsene, ma della collettività, per andare a cancellare le chirurgie invasive sui loro corpi e tutte le conseguenze fisiche e psicologiche che ne conseguono.

Eppure delle loro vite non se ne parla, se non in maniera deumanizzante e per portare avanti sempre una normatività tossica e deleteria.

Nel mondo dello sport, ad esempio, è del 24 marzo la delibera della World Athletics (che colpisce anche le persone Trans*, di fatto escludendo le donne dalle competizioni femminili) per consentire la partecipazione delle persone I+ solamente in seguito ad obbligo di assunzione di ormoni per diminuire l’eventuale livello di testosterone. 

Si va creando, quindi, una sorta di cortocircuito etico, dove le persone che necessitano un percorso medico per il proprio benessere psicofisico faticano ad ottenerlo o spesso non ci arriveranno mai, altre, invece, che non ne necessiterebbero, vengono obbligate per poter vivere le proprie esperienze di vita, tra cui anche lo sport.

Quel che chiediamo, oltre all’ovvia libera autodeterminazione, è creare spazi e legislazione che garantiscano una vita che sia piena e non costellata da un controllo capillare su ogni aspetto del proprio sé.

Parlando di persone grasse, tante sono state le esperienze riportate, anche da soggett3 queer, riguardante la grassofobia sistemica subita nel corso della loro vita (che ricordiamo non essere una discriminazione meno importante di altre): dal personale sanitario che rifiuta loro esami asserendo che la fisicità avesse a che fare più o meno con qualsiasi tipo di sintomatologia che sentivano, fino ad arrivare alle aggressioni, come accaduto la scorsa estate con le challenge pubblicate sui nuovi media (come TikTok) a discapito di donne e persone con espressione di genere femminile.

Anche la comunità LGBTQIA+, purtroppo, non è ancora libera dagli stereotipi del corpo che deve essere per forza magro o per forza in una data maniera senza considerare le proprie, normali, sfumature. 

Porsi il problema se si soffra di grassofobia è certamente il primo passo per liberarsi di pregiudizi dannosi, che possono influire in maniera decisamente capillare su tanti aspetti della nostra vita e di quella altrui. 

Viviamo in una società guidata dalla cultura della dieta, un ramo abbastanza evidente del patriarcato, che equipara il peso al valore, e ci dice che un corpo grasso è un problema da risolvere il prima possibile attraverso diete restrittive e sfiancanti sessioni di allenamento.

Sarebbe importante cominciare a guardarsi intorno e rendersi conto che le nostre molteplici differenze non potranno mai sembrare adeguate appiattite in una eteronorma bianca e magra.

I nostri corpi sono diversi, la nostra pelle è diversa (magari non bianca, magari con peli, magari con tante macchie, oppure anche no), ed il problema non è questo fatto, quanto il fatto che la pretesa di assomigliare ad un ideale impostato dalla società - permeata dal patriarcato - non è funzionale a nessun*, anzi può causare solo danni alla salute psico-fisica delle persone.

Impariamo, quindi, a rifuggere gli aspetti più stereotipati a favore di un oggettivo sguardo su noi stess* e sul mondo, parlando quando necessario per stoppare atti discriminatori.

Un’educazione che ci appartenga e ci somigli

Come associazione, e come singol*, entriamo spesso in contatto co* ragazz* più giovani, sia all’interno che all’esterno della struttura scolastica. 

Sono le persone adulte di domani, che andranno a costruire il futuro, il nostro e il loro, ma, spesso, sono loro stess* a non vedere questo futuro: l* troviamo spaventat*, incapaci di guardare con ottimismo al domani, per colpa di questa società che non da loro alcuno strumento di indipendenza, che svilisce la loro cultura, che si disinteressa dei loro bisogni, che non investe sulla loro educazione e formazione.

Quello che noi vogliamo è un cambiamento radicale: un’educazione che sia pratica di libertà, che non riproduca le dinamiche di potere ma che, anzi, le metta in discussione, le decostruisca.

Ci battiamo per un’educazione che rimetta al centro la voce individuale e soggettiva dell* student*, che accolga le persone nella loro interezza e complessità, che le valorizzi e le incoraggi, dando loro gli strumenti di cui hanno bisogno per costruire la propria vita.

Vogliamo una classe che sia un ambiente sicuro per ogni soggettività marginalizzata, per ogni persona vittima di odio, emarginazione, bullismo.

Vogliamo che ogni persona disabile e/o neurodivergente trovi una struttura scolastica preparata ad accogliere i suoi bisogni educativi.

Vogliamo un personale docente che non sia sfruttato, umiliato e sottopagato. Al contempo, vogliamo che * docent* siano formati in modo adeguato per entrare nelle classi di oggi; vogliamo un personale scolastico che sappia supportare tutte le soggettività, pronto a mettere in discussione il modello della pedagogia autoritaria. 

Come cittadin*, docent* e student* continueremo a lottare affinché tutto ciò diventi la norma, come dovrebbe essere in una società realmente democratica.

Una legge che ci tuteli, ma non ci sovradetermini

Nel parlare di educazione è impossibile non dar peso a quanto successo con il DDL Zan ed al silenzio assordante intorno alla questione di un’ipotetica legge contro le discriminazioni sulla  base dell’identità sessuale della persona.

Pretendiamo che si ricominci il dialogo, partendo dall’ascolto delle persone della comunità, fino ad arrivare ad un testo che ci rappresenti e che non giochi a vendere al miglior offerente le nostre famiglie (come con il DDL Cirinnà) o che voglia lasciar indietro la popolazione trans* (oltre a quella bisessuale, intersessuale e Non Binaria) per pure questioni ideologiche.

Il testo in questione, per quello che ci riguarda, abbiamo poco interesse che riguardi il lato punitivo e carcerario (su cui siamo molto critich3), ma vogliamo che punti alla rieducazione per provare a fondare su basi solide il possibile cambiamento.

Libera e continua Migrazione, tra i generi e nel mondo

La stretta del governo Meloni sulla concessione della protezione speciale alle persone migranti (che si basava anche sulle persecuzioni sulla base della propria identità sessuale) è l’ennesimo attacco alla comunità esercitato nei primi mesi dell’anno corrente. 

Non che prima vi fosse una facilità in merito, considerando quanto fossero obsolete le commissioni e le domande poste a chi la richiede (dando spesso per scontato conoscenze ed una cultura che non è quella di chi arriva in Italia).


Siamo stuf* di un paese che costantemente dimentica ed invisibilizza le nostre esistenze che sì, sono anche esistenze migranti.

Non ce la facciamo più a sentirci dire “ma li sapete i rischi delle traversate”, quando i nostri paesi sono in guerra - spesso e volentieri per cause economiche derivate dal capitalismo imperante - e le nostre famiglie, nel migliore dei casi, rischiano con noi, nel peggiore sono le prime a volerci mort3 per la nostra queerness.


La richiesta di corridoi umanitari, che dovrebbe essere la normalità, si affianca, quindi, anche alla necessità di snellire le procedure che consentano alla popolazione LGBTQIA+ di trovare riparo.

Mentre si attenderà ciò, ovviamente, coltiveremo il  mutuo aiuto ed il riappropriarci anche delle nostre identità razzializzate, spesso usate per escluderci e relegarci al margine.


Anche su Novara la nomea di alcuni quartiere, considerati quasi un ghetto, è figlia del razzismo endemico della società nazionale. 

Vorremmo, invece, che si provasse a coinvolgere e valorizzare le popolazioni e le loro culture, senza cercare capri espiatori per questioni che poco hanno a che fare con la loro presenza, evitando di cadere in un becero classismo che poco dovrebbe appartenere ad città civile.

Sul capitalismo e sul cambiamento climatico

Il capitalismo non attacca, ovviamente, soltanto dal punto di vista della queerness, della razza e del proprio censo, ma va ad influire anche sul mondo in cui viviamo, portando ad una cementificazione sempre più ampia delle aree.


Nel novarese uno degli esempi più lampanti è di sicuro Pernate, l’ennesima zona di campagna che rischia la distruzione per l’arrivo di sempre più logistiche che sfruttano all’osso il personale ed il territorio.


La volontà di fare denaro, su di un pianeta sempre più in sofferenza, con una qualità dell’aria che va peggiorando e che si avvicina tristemente a quella del milanese (iniziando a causa anche problemi di salute) va contro ogni buon senso.

La sopravvivenza delle persone che abitano il circondario, così come nel discorso più globale, dovrebbe essere una priorità e non un orpello da poter considerare solo quando non vi sono più argomenti interessanti di cui parlare.

Che cosa fare quindi?

A parte le politiche dovrebbero limitare azioni che vanno distruggendo il paesaggio e la natura in esso, è necessario regolamentare le aziende e che si vada modificando il rapporto specista che l’uomo ha con gli altri esseri viventi.

In conclusione

Vogliamo, per concludere, ricordare quanto sia importante per noi il Pride di quest’anno, considerando i 10 anni di attivismo e le problematiche affrontate per poter conquistare anche solo questo poco spazio conquistato.

Non ci limiteremo ad accontentarci, non sarebbe corretto nei confronti di chi si è unit3 a noi negli anni sperando in un miglioramento di questo mondo ingiusto.

L’equità, la parità ed il rispetto dei diritti umani non dovranno mai passare in secondo piano.